Pinna nobilis: una regina in pericolo
Il Mar Mediterraneo è un bacino unico, caratterizzato da una incredibile biodiversità e dalla presenza di numerosi endemismi, cioè di specie che non vivono in nessun altro luogo al mondo. Tra le numerose specie endemiche del nostro mare vi è un mollusco davvero speciale, il più grande bivalve del “Mare Nostrum”: la Pinna nobilis.
Pinna nobilis: conosciamola meglio
La nacchera di mare (come è spesso chiamata la nostra regina dei fondali) appartiene al Philum dei molluschi, al pari di lumache, polpi, patelle e di tutti gli altri frutti di mare. Nello specifico i tassonomisti inseriscono questo splendido animale nella classe dei Bivalvi, in compagnia di tutti gli altri molluschi dotati di conchiglia formata da due valve incernierate e che si nutrono filtrando l’acqua e trattenendo tra le branchie le particelle organiche trasportate dalla corrente.
A differenza della maggior parte dei bivalvi, però, che sono spesso difficili da individuare perché nascosti nella sabbia o ricoperti dalle alghe, la Pinna nobilis è inconfondibile e svetta maestosa dal fondale, con la sua conchiglia che può raggiungere e superare il metro di lunghezza e i 25 anni d’età. Queste generose dimensioni regalano facilmente alla Pinna il titolo di mollusco bivalve più grande del Mediterraneo.
Ciononostante può essere talvolta difficile scorgere gli esemplari più giovani, nascosti tra il fitto manto di foglie della Posidonia oceanica. Le praterie di fanerogame marine sono infatti l’habitat d’elezione per questo affascinante animale, che al loro interno può raggiungere la densità di 10 individui ogni 100mq di prateria. E’ tuttavia possibile incontrare la nacchera anche al di fuori delle praterie di fanerogame, su fondali sabbiosi o rocciosi, ma è un evento raro e queste popolazioni hanno in genere densità molto più ridotte.
Il Bisso, dono prezioso della regina del mare
La forma della conchiglia di Pinna nobilis è affusolata e triangolare, con l’apice anteriore fortemente appuntito. Questa struttura ricorda da vicino quella di un altro famoso mollusco bivalve, più piccolo e comune, la cozza!
Questa somiglianza non è frutto di un caso, ma è la conseguenza di una comune strategia: entrambi questi bivalvi, infatti, producono una sostanza fortemente adesiva, detta bisso, proprio in prossimità dell’estremità anteriore della conchiglia, con la quale si incollano al substrato per resistere alla forza delle onde. Questa sostanza è quindi fondamentale per la sopravvivenza di questi animali.
Se il bisso delle cozze non ha alcun valore né utilizzo, però, quello della Pinna è stato un prodotto molto ricercato, in passato, per ricavarne tessuti pregiati. La filatura e il confezionamento della “seta del mare” era una arte di cui erano specialisti sapienti artigiani, depositari di una antica conoscenza ormai perduta. Oggi la tradizione della lavorazione del bisso è scomparsa e l’ultima maestra di questa meravigliosa tradizione vive in Sardegna, nella laguna di Sant’Antioco.
I lavori di Chiara Vigo, ultima testimone di un passato illustre, sono stati definiti patrimonio dell’umanità dall’Unesco e conservati in un museo ad essi dedicato.
Pinna rudis, la sorella minore
La famiglia Pinnidae in Mediterraneo contempla anche un’altra specie, meno conosciuta e spesso confusa con la sorella maggiore: si tratta di Pinna rudis, un mollusco molto simile alla più prestigiosa specie nobilis, da cui si distingue per le dimensioni più contenute e per la presenza di numerose escrescenze sulla conchiglia, che la percorrono in senso longitudinale.
A contribuire alla scarsa conoscenza dell’esistenza di questa specie vi è il fatto che gli esemplari giovani di Pinna nobilis possiedono escrescenze molto simili e sono della stessa dimensione degli adulti di P. rudis.
Nonostante le somiglianze, la sorella minore della famiglia preferisce ambienti differenti, essendo infatti più abbondante e diffusa in ambienti rocciosi, sul detritico costiero e in grotta, dove Pinna nobilis risulta invece meno presente.
Dio salvi la regina!!!
Pinna nobilis sta scomparendo. Il destino del mollusco simbolo del nostro mare appare purtroppo nefasto e ad oggi la sua sopravvivenza è davvero appesa ad un filo. Il declino della specie è iniziato verso la metà del secolo scorso, a causa della rarefazione incontrastata del suo habitat principale, le praterie di fanerogame marine. Con l’avvento dei programmi di conservazione ambientale, l’istituzione delle Aree Marine Protette e le direttive comunitarie la situazione per questo prezioso bivalve sembrava aver preso la via del lento ma costante miglioramento.
La doccia fredda è arrivata però a partire dal 2017: ricercatori spagnoli osservarono in quell’anno una devastante morìa di Pinna nobilis lungo le coste delle acque Iberiche, registrando il decesso di oltre il 99% della popolazione. Nel giro di pochi anni, quello che si sperava fosse un evento isolato ha invece fatto la sua comparsa in tutto il bacino del Mediterraneo.
Responsabile della morìa un parassita, mai osservato prima, che gli scienziati hanno chiamato Haplosporidium Pinnae, un protozoo in grado di infettare il sistema digestivo della Pinna e condurla alla morte. Ricercatori italiani hanno osservato, invece, come in alcuni casi la morìa sembrerebbe determinata da altri agenti patogeni, precisamente micobatteri, ponendo l’accento su una possibile combinazione di cause che stanno portando la Pinna nobilis al collasso.
L’alto adriatico, che fino all’ultimo era parso immune all’infezione, sembrava poter essere il baluardo della conservazione della specie, da cui ripartire per ripopolare il Mediterraneo una volta scomparso questo drammatico invasore.. purtroppo anche in questo bacino il parassita ha fatto la sua comparsa e, ad oggi, il destino della Pinna nobilis è più che mai in bilico.
La IUCN, l’organizzazione internazionale che definisce lo stato di vulnerabilità all’estinzione delle specie a livello planetario, ha rivisto lo stato di Pinna nobilis, classificandolo come “Critically Endagered”, ossia estremamente in pericolo.
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Come aiutare la ricerca?
Anche noi subacquei possiamo dare il nostro contributo per salvare la specie dall’estinzione. L’unica cosa che ad oggi è possibile fare, infatti, è osservare e monitorare la situazione il più diffusamente possibile. Cercare di capire se esistono zone dove le popolazioni sono ancora in salute e individuarle è fondamentale, per cercare di capire quali sono le possibili condizioni che possano fermare l’avanzata del protozoo killer ed eventualmente studiare le caratteristiche dei soggetti immuni, per comprenderne il segreto e applicarlo alle popolazioni in declino.
Come semplici subacquei possiamo quindi contribuire al monitoraggio: se ci troviamo in una zona ricca di nacchere, assicuriamoci che siano vive e vitali: farlo è molto semplice: basta avvicinarsi e toccare delicatamente la conchiglia con un dito: gli esemplari in buona salute richiuderanno rapidamente la conchiglia, mentre esemplari morti o malati rimarranno aperti o si richiuderanno molto lentamente. Qualora dovessimo individuare una area ancora ricca di esemplari vivi e vitali, comunichiamolo agli enti di ricerca preposti: IUCN, ma anche il Centro Marino Internazionale di Torregrande (Or).